lunedì 10 novembre 2008

Noise

Proseguiamo con la pubblicazione di materiale inedito in rete.
Ecco un racconto di Roberta Mochi apparso sul primo numero di Lamette, dove ancora non comparivano fumetti.
Illustrazioni di Sbrò.

Noise

di Roberta Mochi

Il rumore è una condizione inalienabile...
piuttosto strano, detto da una muta.
... quello che mi stupisce maggiormente è come possano gli altri non accorgersi di quanto perdono nel parlare sempre.
Stando in silenzio si possono ascoltare molte voci... qualcuno le chiama...
Io preferisco ascoltarle e basta. Senza schemi, senza etichette. Solo noise. Puro.
Quella reminescenza di un linguaggio che non mi appartiene, che gravita ancora nella mia testa, serve a poco. Spezza la lucidità.
Tutti si arrabattano per sfuggire alla vecchiaia, io credo che la vecchiaia non esista. Così come non esiste gran parte delle cose che vedo. Delle cose che si ritiene io debba vedere. Delle cose che sfioro con lo sguardo nel sonno e mi ricoprono in sequenza quando mi sveglio.
Non ho certezze assolute e soprattutto non le cerco, perché non credo nella possibilità di trovarle...
Paranormale, metafisico... tutte cazzate, il rumore è ciò che riconosco.
Tutto qui.
Andare avanti nelle giornate è un'attività stentata... a volte cammino nella speranza di invischiarmi in qualche situazione tesa, la trovo, la inglobo e la mia inquietudine la schiaccia prima ancora che possa dare il meglio di sé.
Come quella volta a Bologna dagli PsYconauti... Vuoi una pasta. Vuoi una pasta. VUOI UNA PASTA.
Nessuna pastiglia, voglio solo rumore. Voglio stordirmi scrostando il cervello con i suoni grigi, stridenti e ghiacciati che mi porta il vento corticale. Intanto ruotare uno strano oggetto, piccolo e seghettato...
l'uomo sotto il portico, che me lo ha venduto, diceva che serve per tagliare i peli del naso... raccapricciante, lui ne aveva moltissimi.
Passeggiare da sola, non mi fa bene... nulla mi fa bene.
... e poi questo dannato mal di testa...
che non passa.
Mai.
Petrolio lucido e agglutinato si concreta in una grafite che si spezza senza fine su una superficie levigata. Un rampino gracchiante mi scassa le pareti della scatola cranica. Le scioglie per renderle poltiglia collosa e riassemblarle.
E non riesco a farlo smettere!
Prima della 180 mi avrebbero fatto una lobotomia.
Manifestazioni sintomatiche attuali fisiche e psichiche:
Il paziente del 47 è oltremodo trascurato, si ostina ripetutamente a non parlare.
Diagnosi:
Demenza precoce. Schizofrenia?
Cura pratica:
Dagli esami clinici si è potuto stabilire che la patologia non ha origini organiche; visti gli scarsi risultati ottenuti con l'elettroshock, consigliamo un intervento immediato e parziale sul lobo
prefrontale a scopo di isolare le fibre associative della sostanza bianca, spezzando le connessioni fronto-talamo-ipotalamiche, riducendo gli effetti morbosi di cui sopra.
No, No NOOOOOOOO.......
Dio per favore nO! Dott. Moniz, la pregoooooooooooo
"Avete assicurato il paziente alle cinghie? L'operazione è estremamente delicata...non possiamo permetterci di commettere errori, i risultati della nostra terapia dipendono anche da questo."
"Bene... gli attrezzi chirurgici sono pronti... osservate come inserendo il rampino sotto la palpebra sinistra..."
Il suono che emette un rompighiaccio sterile, entrando sottile fra il globo oculare e la palpebra non è nulla, paragonato al tonfo del mazzuolo chirurgico che lo accompagna. La pressione spinge attraverso il tetto dell'orbita, fino a raggiungere il lobo frontale. Muovendo lateralmente la punta del rampino puoi sentire scricchiolare il taglio laterale, lo strumento gratta e gratta, portando via le tue emozioni. Nessuno può udire le mie conversazioni e le mie voci, neppure dalle mie espressioni ormai. Piuttosto tutti notano un miglioramento nelle mie condizioni.
Eppure dopo l'operazione non hanno smesso di urlare... solo, a tratti, bisbigliano. Ed è incredibile come non abbia mai avuto manie suicida ma, al mattino adesso, all'ora della visita, sentir parlare lo psichiatra mi fa venir voglia d'impiccarmi, sapendo che non avrò mai la possibilità di sgozzarlo.
Il rumore, il rumore a volte continua a farmi impazzire... resistere al mondo di fuori è talmente semplice, resistere al martellamento dentro la mia testa, invece... a questo continuo sgocciolio sembra impossibile.
Strappo una bustina di nimesulide granulato, 100 gr che si impastano in un bicchiere d'acqua, sfrigolando come a contatto con un ferro rovente.
Va meglio. Quel tanto che basta per illuminare alcuni pensieri.
Prima della lobotomia mi avrebbero bruciata come strega.
Agli atti:
L'accusata è stata condotta davanti a questa Altissima Corte che giudica per mano di Urbano VIII, dopo essere stata sorpresa a proferire le immonde invocazioni che seguono: Palas aron ozinomas/baske bano tudan donas/Geheamel cla orlay/Berechè patntaras tay. Portata qui è stata calma per un tempo assai lungo e, benché la si chiamasse, essa non ha risposto nulla, il suo viso non si è mai colorito, non ha versato mai una lagrima. A tutte le domande, essa non risponde, rifiutando quindi di abiurare il demonio. L'ostinata volontà di non proferir verbo, seppure dopo i numerosi tentativi di questa Santissima Corte e l'ausilio del ferro per mortificarne la carne corrotta, ci induce a rimetterla ad un Giudizio più Alto. La si condanna quindi alla prova dell'acqua.
L'Inquisitore eccitato mi fa pungere con aghi in tutto il corpo per trovare il Signum Diabolicum cioè il marchio di Satana, in sostanza, una parte del corpo insensibile al dolore.
Non riceve neppure un sibilo, in cambio. Allora personalmente mi taglia i capelli con un coltellaccio intorpidito e ossidato, stappandoli quasi, lasciandoli cortissimi e neri; mi stringe i polsi con una corda rozza e sporca... poi fa lo stesso con le caviglie; i nodi duri mi sfrigolano sulla pelle, bruciano ma non come i ceppi di ieri, no, non come il ferro delle pinze che ha usato ieri.
Mi spinge gettandomi in acqua. Sono sotto ed è torbido e ovattato, tutto rimbomba e le sagome si confondono ma i bisbigli urlano senza fiato e non si arrestano, si attenuano, a tratti, per poi replicare più forte...
C'è un solo momento nella giornata in cui finalmente mi sento fuori dalla trappola.
In cui non importa se fare sesso è una realtà troppo remota. Importano solo le mie mosse, che si snodano, torpide e sintetiche. Solo per me.
Senza che nessuno si permetta di appropriarsene.
Salgo piano le scale che scricchiolando portano al soppalco, dove tengo gli oggetti che non servono più. Dove nessuno sale, tanto non c'è nulla da vedere, e l'odore è ambiguo al punto che non se ne sfiorano le sfumature. Neppure io riesco più a distinguere gli oggetti, la polvere copre quasi tutto, tranne le impronte lasciate dai miei piedi scalzi.
Mi chino e infilo una mano sotto a un letto sfatto. Con le dita aggancio la scatola di alluminio conservata sotto la rete, scivola verso di me, seguendo i solchi che la pratica ha lasciato sul legno del pavimento. La cullo un po', questa dolcissima scatola scordata da tutti.
"Cosa devi farne?"
... ne ho bisogno, mi serve...
"Vuoi usarla per custodire le tue cose?"
... le cose più care...
"Quella mossa col visetto è un sì?"
... non ne posso più, finiscila e dammi la scatola...
" Va bene, prendila pure, la mamma ha capito"
... non ho ancora i tuoi amati tre anni, mammina. Vabbe', fa lo stesso. Ma smettila di parlare.
Adesso che è qui, sulle mie ginocchia, la apro piano, con dolcezza, annusandone lentamente e in profondità il sapore violento e inebriante.
Un aroma diverso, corposo e decadente, marcio, pulsante, tetro.
Estraggo dalla tasca il lungo tubicino di plastica, ho dovuto cambiare gli aghi, si erano incrostati un po'... ogni tanto bisogna farlo altrimenti si ostruiscono e addio...
Infilo uno di quegli aculei nell'arteria femorale ma non è più così facile... la pelle si è fatta dura, coriacea, si è ispessita, ed è quasi nera, bordata di ocra e viola. Devo premere con forza prima di vedere l'asticciola di acciaio insistere e scivolare, dalla pressione all'invasione. Fa un po' male, prude... ma non è necessario stare a sentire.
Adesso bisogna escludere tutto. Anche il dolore, che non è molto, poi.
La trasparenza della plastica si inonda di rosso cupo; metto l'altro ago al suo posto e il mio piccino inizia a succhiare.
Avevi fame?
Dio, io ne avevo tantissima... avevo così bisogno di te. Affondo nel nulla tutto il giorno, ed è sempre più difficile risollevarsi per tornare a casa. Ho bisogno di te, non lasciarmi, non lasciarmi mai. Saremo insieme per sempre, non importa come... sarà ovunque e per sempre.
Se avessi dato retta a loro, i vermi lo avrebbero già consumato. Ho dovuto chiuderlo nella scatola, ho dovuto sigillarlo perché avevo bisogno di giorni per studiare la situazione, per assorbire il problema e poterlo risolvere.
Poi finalmente ho capito: bisognava ossigenare i tessuti.
Purtroppo il tempo non ha voluto assecondarmi e così, quello che subito sarebbe stato facile, una volta iniziata la saponificazione, si è rivelato più lungo ed elaborato.
Ma non era importante, non era importante, non era a s s o l u t a m e n t e importante.
Procurasi il materiale è stato talmente semplice, qui nessuno si domanda il perché delle cose... e a me basta indicare... figuriamoci se la gente si prende la briga di dover tradurre le mie risposte mute!
Questo è un enorme vantaggio...
Il filtro per un acquario non è quanto di più elegante si potesse trovare ma è efficiente... fa tutto quello che ci si aspetta debba fare un polmone d'acciaio, ricicla.
Il riciclo Riciclare la vita senza produrne di nuova, usare il mio sangue sterile
come veicolo di nutrimento ed ossigeno... Certo, non posso dire che questo ammasso melmoso adesso sia proprio quello che amavo, è troppo molle al tatto... gli splendidi occhi gialli si sono liquefatti, come la bava dei tentacoli di un mollusco lasciato a marcire in una vaschetta con poco ghiaccio.
Ma che importa la forma e la carne...
... però si nota ancora qualcosa nel suo corpicino... non è fatto di cartone come quello dei gatti lasciati a seccare ai lati della strada; sotto al sole feroce e in balia dei morsi degli insetti.
Nessuno può toccarlo. Nessuno può portarmelo via. Riposa nella sua scatola di alluminio, aspettando che arrivi la sua mamma a rendere ancora il suo pelo lucente e nero come la notte, come il silenzio.
Aprirlo, svuotare ogni singolo capillare che mi guizzava nelle mani non abituate a tanta vischiosità e poi ricucire tutto, con amore... insomma... ecco cosa. Ci voleva solo un po' di coraggio... per restituirlo a me, di nuovo, ancora, ancora, ancora, ancora, ancora...
Che strana schizofrenia, eppure etimologicamente perfetta, se schiz è spezzato e phrenos è anima o cuore, schizofrenico è solo chi ha il cuore spezzato.
Alcuni frammenti guariscono, se si ha la pazienza di lasciarli rimarginare.
... e poi silenzio.

Nessun commento: